Beppe Sala indagato, centrodestra garantista: «Le giunte non cadono per gli avvisi di garanzia»

Meloni: «Sala si dimetta solo se capisce che non riesce a governare meglio». E Crosetto accusa i magistrati: «Non possono sostituirsi al corpo elettorale»

giovedì 17 luglio 2025 di Mario Ajello
Beppe Sala indagato, centrodestra garantista: «Le giunte non cadono per gli avvisi di garanzia»

ROMA Che paradosso.

Il Nazareno, quartier generale del Pd, sembra non calorosissimo nei confronti di Giuseppe Sala, e si limita a una telefonata personale di Schlein al sindaco milanese come segno di solidarietà. A questo silenzio ufficiale dei vertici del partito della sinistra si accompagna invece un protagonismo mediatico del centrodestra. Non all’insegna dell’abbattimento giustizialista di Sala. Anzi, Giorgia Meloni ci va piano. Molto piano. «Un avviso di garanzia - dice in serata la premier - non può portare alle dimissioni». Il sindaco - incalza Meloni al Tg1 - «capisca se riesce a governare meglio». Abituati all’imbarbarimento della politica, fa impressione questo atteggiamento soft della leader di Fratelli d’Italia. «La mia posizione - così spiega Meloni - è quella che ho sempre in questi casi. Penso che la magistratura debba fare il suo corso. E per quello che riguarda il sindaco, io non sono mai stata convinta che un avviso di garanzia porti l’automatismo delle dimissioni». 


La linea governativa è dunque quella di non calcare la mano sui guai del Pd e di Sala. E di distinguere l’ambito politico, scontro duro, con quello giudiziario in cui non vanno sfruttati i problemi degli avversari con i pm per toglierli di mezzo.  Uno come Guido Crosetto l’ha sempre pensata così, e non si smentisce. «Sono garantista come lo sono sempre stato per tutti - scrive sui social il ministro - e guai a usare le vicende giudiziarie per sbarazzarsi degli avversari». E ancora: «La magistratura non deve e non può sostituirsi al corpo elettorale». Se la destra mediatica del giornalismo e dell’opinionismo militante fa fuoco e fiamme contro Sala, la destra politica è più cauta. 


Ignazio La Russa è durissimo sullo scandalo milanese e attacca a testa bassa: «Milano ha bisogno di una guida che non sia quella che c’è adesso che mette insieme verdi, non verdi, affaristi, non affaristi, politici perbene e politici con qualche ombra». E tuttavia, in tanta furia, neppure lui arriva a pretendere le dimissioni di Sala. Gli viene domandato se Sala deve lasciare il proprio posto e lui, il presidente di Palazzo Madama considerato il padrone del centrodestra milanese, frena: «Io non chiedo mai le dimissioni quando inizia un provvedimento, che peraltro non so fino a che punto riguardi personalmente il sindaco. Di sicuro, c’è che la giunta Sala non è adeguata a Milano». Va mandata via per ragioni politiche e non giudiziarie, ecco. 
Ma perché il Pd inteso come segreteria Schlein non si erge pubblicamente a difesa del suo sindaco? Forse perché non lo ha mai considerato veramente suo e forse perché questo problemaccio milanese rappresenta un’altra spina nel rapporto tra Pd e M5S. I vertici del movimento contiano stanno spingendo per le dimissioni immediate e ciò mette politicamente in imbarazzo il Nazareno. Difendendo apertis verbis Sala, e non soltanto tramite una telefonata privata, la Schlein si metterebbe in contraddizione oltre che con il proprio modello di leadership - tutto reputazionale, manipulitista e da diversità morale d’origine berlingueriana - anche con i compagni di strada stellati e rosso-verdi. 


GLI IMBARAZZI
Mentre il Nazareno svicola (ma si schierano apertamente con Sala in diversi: Walter Verini, Filippo Sensi, Dario Nardella, Gianni Cuperlo, Lia Quartapelle), mentre una parte del centrodestra milanese chiede le dimissioni del sindaco ma il centrodestra nazionale non le chiede e specie Forza Italia si mostra cauta e berlusconianamente garantista («Non siamo quelli delle piazze con monetine o cappi in mano», assicura il deputato e segretario lombardo Alessandro Sorte), si registra una nuova sintonia tra Renzi e Calenda. Entrambi fanno muro a difesa di Sala. Il leader di Italia Viva: «Non si possono chiedere dimissioni per un avviso di garanzia perché questo vorrebbe dire tornare alla barbarie di Tangentopoli». Il leader di Azione: «Sala deve rimanere lì e non piegarsi. Altrimenti bloccheremo anche Milano». 
Salvini non è scatenato come al solito. Deve aver capito, anche a sue spese, che il giustizialismo è un’arma a doppio taglio. Il capogruppo leghista al Senato, Massimiliano Romeo, la butta sul piano esclusivamente politico: «Troviamo subito un candidato per vincere a Milano al prossimo giro». Ma occhio al governatore lumbard, Attilio Fontana. Difende Sala senza mezzi termini: «Non sono un garantista a giorni alterni, lo sono per tutte le persone che incorrono in questioni di questo genere. Quello che valeva per me deve valere per gli altri. Io sono stato indagato e poi archiviato ma se facessimo questo ragionamento avrei dovuto dimettermi il giorno dopo aver ricevuto l’avviso di garanzia». Un bruttissimo affare lo scandalo di Milano. Ma il centrodestra, per ora, non sembra volerlo trasformare in una gogna. 

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