Hanno lavato camici, stirato toghe, preparato pranzi e cene. Nei secoli dei secoli, amen. Eppure oggi, le donne che hanno “servito” con devozione parroci e vescovi, cardinali e papi, tirano i remi in barca. È uno scisma silenzioso, il loro, privo di clamore. E si accosta a quello di tante altre persone che per lungo tempo hanno prestato il proprio servizio. Servisse un’immagine per dare concretezza a quel crollo di fiducia nella Chiesa, fotografato dall’Osservatorio pubblicato mercoledì dal Gazzettino, eccola qui. Del resto, se i nordestini che hanno fiducia nella Chiesa sono solo il 36% (contro il 62% di 25 anni fa), qualcosa deve pur essere accaduto. Tutto è perduto? Non proprio: «Nella trasformazione che la Chiesa sta vivendo, ci sono finestre di opportunità, ma bisogna ripartire da un punto essenziale: testimoniare la carità» assicura Carlo Bolpin, 81 anni, formatore cattolico, tra i fondatori dell’associazione culturale Esodo (oggi guidata da Laura Venturelli), che cura l’omonimo periodico.
Bolpin, la stupiscono questi dati?
«Non particolarmente, c’era da immaginarselo. La Chiesa sta perdendo rapidamente credibilità: ma su cosa? È questa la vera domanda che dovremmo porci».
Si è dato una risposta?
«Più d’una, a dire il vero. Innanzitutto c’è la questione delle donne. Tra i fattori che hanno determinato la maggiore perdita di credibilità della Chiesa c’è lo “scisma silenzioso” di numerose figure che, in passato, hanno servito l’istituzione. Fenomeno in corso da anni. E sia chiaro, mica c’è stato un rifiuto netto e palese. No, piuttosto un distacco progressivo di quelle persone, che erano le più fedeli, al servizio del parroco».
Quindi le donne sono completamente uscite dallo scenario?
«Assolutamente no: si è sviluppata la teologia femminile, una risorsa enorme. Le donne hanno posto un nuovo modo di fare teologia, che bada alla relazione, alla cura delle persone, che presta particolare attenzione (e sensibilità) alle questioni etiche».
Le questioni etiche impattano notevolmente sulla credibilità della Chiesa come istituzione, qual è l’approccio corretto da adottare?
«La chiave deve essere la comprensione del dolore degli altri, la dignità della persona e la sua libertà. Se la realtà è spesso contraddittoria, la Chiesa dovrebbe riuscire a stare al passo coi tempi, ad accompagnare il suo gregge, senza imporre dall’alto regole e precetti».
E se questo non accade?
«Pensare di possedere la verità assoluta, credere che i valori della Chiesa non siano negoziabili (il riferimento è al cardinale Camillo Ruini, ex presidente della Conferenza Episcopale Italiana, ndr), può portare a stringere compromessi con posizioni opposte al Cristianesimo e ai suoi valori».
Molti si dicono cattolici, ma poi vivono la fede in modo molto personale, talvolta quasi silenzioso. È un segno di libertà, di crisi, o di maturazione?
«Potrebbe essere un’opportunità per la Chiesa. Papa Francesco ha ribadito più volte l’appello a tornare all’essenza del Vangelo. Si tratta di scegliere tra due vie: dettare legge morale oppure prendersi cura delle persone, comprenderne il dolore e i mali di vivere».
In un tempo in cui tutto è opinione, la parola coscienza ha ancora un peso? Oppure è diventata solo un sinonimo elegante per dire “faccio come voglio”?
«È un tema assai spinoso. Semplificando al massimo, esiste una contrapposizione tra coscienza e verità oggettiva. Quando la soggettività della persona viene assolutizzata, là c’è il rischio di una deriva. Al contrario, la coscienza andrebbe vissuta nella comunità, dovrebbe essere formata, porsi in costante ascolto».
Se il Cristianesimo ha ancora molto da dire, nonostante le chiese vuote, l’esodo delle donne, lo scisma silenzioso, quale linguaggio dovrebbe usare per non sembrare del tutto fuori tempo e fuori luogo?
«La Chiesa deve testimoniare Dio nella carità, questa a mio avviso è la chiave per parlare al mondo. E testimoniare Dio nella carità vuol dire anche morire per l’altro. Il filosofo Emmanuel Lévinas ci insegna che la sofferenza non ha senso, ma soffrire per eliminare la sofferenza degli altri ha senso. Ecco, io credo che le comunità cristiane dovrebbero riuscire a testimoniare questo. E farlo subito: non c’è un minuto da perdere».