Il patriarca Francesco Moraglia: «Chiesa in crisi di fiducia ma resta una guida morale»

Il Patriarca e i risultati del nostro sondaggio: «Quei dati colpiscono, ma è significativo che il 50% ci riconosca autorevolezza quando si va a toccare temi significativi e sensibili»

giovedì 17 luglio 2025 di Margherita Bertolo
Il patriarca Francesco Moraglia: «Chiesa in crisi di fiducia ma resta una guida morale»

VENEZIA - Il Veneto “bianco” non esiste proprio più. I cattolici non sono solo una minoranza, consistente, ma pur sempre una minoranza. Ormai sono anche lontanissimi i tempi in cui, in questi territori, sacerdoti e vescovi erano solide (e ascoltate) figure di riferimento per intere comunità. Oggi, come dimostra il sondaggio dell’Osservatorio pubblicato ieri dal Gazzettino, i nordestini che hanno fiducia nella Chiesa sono solo il 36%: 25 anni fa erano il 62%. Un abisso. Eppure «la Chiesa resta guida morale», sostiene Francesco Moraglia, patriarca di Venezia e presidente della Conferenza Episcopale Triveneta.

Dall’Osservatorio pubblicato dal Gazzettino emerge che nel Nordest solo una persona su tre considera ancora la Chiesa un punto di riferimento. È un dato che colpisce. Cosa racconta, secondo lei, sul nostro tempo?
«Colpisce, in effetti, il raffronto con le rilevazioni precedenti che evidenzia un sensibile decremento anche se pare che, in questi ultimi anni, il dato si stia assestando e mostri la realtà di un significativo zoccolo duro, un numero di persone che guardano alla Chiesa con una fiducia superiore a quella che viene normalmente accordata ad altre istituzioni, a gruppi di appartenenza e ad organizzazioni culturali-politiche o socio-economiche.

Una volta di più emerge dal sondaggio che ci stiamo inoltrando in una società fortemente contrassegnata dall’individualismo e che fatica sempre più ad elaborare un pensiero condiviso».

Che fine ha fatto il Veneto “bianco”, quello delle parrocchie e dell’associazionismo cattolico?
«Questa domanda meriterebbe una riflessione articolata. Terminata l’epoca dell’unità dei cattolici in un partito, si è caduti nella logica della frammentazione e l’unità valoriale che avrebbe dovuto contraddistinguere l’impegno dei cattolici - pur in scelte partitiche diverse - è rimasta sulla carta. Si avverte così la mancanza, anche in Veneto, di un pensiero culturale e politico che, a partire dalla ragione, esprima i valori sociali del Vangelo e sia capace di tenere vive le istanze di un’antropologia laica - non confessionale - orientata in senso cristiano».

C’è qualcosa di cui la Chiesa dovrebbe rimproverarsi?
«Come avviene per tutte le realtà umane, anche in ambito ecclesiale ci sono rimproveri da sollevare. Forse il più rilevante è quello di non aver saputo investire in maniera adeguata in cultura politica e, in senso più ampio, in cultura così da promuovere una nuova presenza socio-politica aperta alle nuove istanze e con una visione costruttivamente critica che il cristiano è chiamato ad avere in ogni circostanza».

Metà delle persone riconosce ancora un valore all’insegnamento morale della Chiesa ma poi dice: “ognuno decide secondo coscienza”. È un segno di maturità, di distanza o di qualcosa d’altro?
«È indicativo che lo stesso sondaggio indichi una percentuale superiore, siamo infatti al 50%, di persone che prestano attenzione all’insegnamento morale della Chiesa; sulla fiducia, infatti, ci si ferma al 36%. Significa, a mio giudizio, che quando si va a toccare temi significativi e che riguardano la vita delle persone e delle comunità, allora, si riconosce alla Chiesa un’autorevolezza morale che non deve essere trascurata. La “decisione secondo coscienza” ci conduce in una questione molto sottile eppure fondamentale; alla loro coscienza si sono appellati, ad esempio, coloro che nel secolo scorso hanno compiuto i crimini più atroci (dai gulag dell’Unione Sovietica ai forni crematori del Terzo Reich). Bisogna allora intendersi: se la coscienza è norma immediata dell’agire, non è detto che sia sempre criterio ultimo di verità perché si può seguire una coscienza erronea. Insomma: la coscienza va formata. Il cardinale John Henry Newman, già docente ad Oxford, figura oggi attualissima, ribadiva sempre come la coscienza dovesse misurarsi con la verità ma oggi una cultura, non certo minoritaria, non ne vuole proprio sapere della verità. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti!».

Viviamo in un’epoca molto orientata all’“io”, alla libertà individuale, all’autorealizzazione. La dimensione comunitaria, invece, sembra sbiadire. Che rischi comporta questo spostamento?
«L’esito – come appena detto – è una sempre maggiore frammentazione, un crescente individualismo e il declinare o anche il venir meno della solidarietà».

Quando si parla di “autorità morale”, oggi, si incrociano reazioni contrastanti. Secondo lei, ha ancora senso usare questa espressione? E che volto dovrebbe avere un’autorità morale credibile oggi?
«L’autorità morale è sempre fondamentale per ogni cultura e società. Ma cosa significa? Innanzitutto richiede la coerenza della vita e il saper pagare di persona per quello che si afferma e si cerca di realizzare. L’autorità poi non va mai confusa con l’autoritarismo; nello stesso tempo, non si dà autorità morale senza autorevolezza».

La fede cristiana ha qualcosa da dire anche a chi non crede? E se sì, quale potrebbe essere oggi il suo messaggio più universale?
«La fede cristiana, a differenza dell’attuale cultura tecno-scientifica (intelligenza artificiale e dintorni), si caratterizza perché si pone la questione dei fini e non procede solo servendosi di una ragione strumentale. La fede si pone – e pone a tutti – le domande fondamentali della vita che rendono l’uomo realmente tale: da dove vengo? Dove vado? Chi sono? Perché porsi dei limiti? Cos’è il bene, cos’è il male?».

Viviamo in un tempo veloce, iperconnesso e spesso frammentato. La Chiesa, che è per sua natura lenta, ha ancora qualcosa da insegnare su come si vive il tempo?
«La Chiesa non è lenta, semplicemente non ha fretta e non ha l’obiettivo di allinearsi sempre e comunque all’attualità o alle mode. Con uno sguardo che va oltre cerca piuttosto di contemplare e perseguire insieme la verità e l’amore, la giustizia e la misericordia, il perdono e la riparazione. La logica di questo tempo veloce e iperconnesso ci pervade tutti ed è un pericolo: anche i media e la rete dicono, non di rado, il rischio insito nell’“inseguire” e anche precedere le notizie».

Viviamo in un tempo che tende a evitare il concetto di “limite”, privilegiando desideri e prestazioni. Che valore può avere, oggi, il messaggio evangelico della misura, del sacrificio e della relazione?
«Il concetto di limite è importante, ma non solo per la vita morale e ascetica. Circa il limite c’è qualcosa di specifico che viene dalla rivelazione cristiana e dal Vangelo ed è il concetto di creaturalità che tutti dobbiamo riscoprire, oggi, in modo particolare e invece disattendiamo: gioire di essere creature, ossia vivere in pienezza la libertà e la responsabilità e, nello stesso tempo, riconoscere che i propri limiti sono cifra antropologica fondamentale». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA
Potrebbe interessarti anche
caricamento

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci