Enrico Busato, il primario di ostetricia e ginecologia dopo le dimissioni dall'Usl: «Nessun contrasto, a volte si sente il bisogno di rallentare»

Il medico: «Decisione sofferta, non c'è stato alcun contrasto». Lascerà tra novembre e dicembre

sabato 12 luglio 2025 di Mauro Favaro
Enrico Busato, il primario di ostetricia e ginecologia dopo le dimissioni dall'Usl: «A volte si sente il bisogno di rallentare»

TREVISO - «A volte si arriva a un punto in cui è necessario rallentare». A parlare è Enrico Busato, 61 anni, primario di ginecologia e ostetricia del Ca’ Foncello. Dopo 15 anni alla guida dei reparti, prima a Montebelluna e dal 2014 a Treviso, si è dimesso. Tra novembre e dicembre lascerà l’Usl. Una svolta per uno dei riferimento della sanità trevigiana. E in queste ore è stato sommerso dai messaggi di affetto.

Dottor Busato, com’è nata la scelta di lasciare?

«Una scelta personale. A un certo punto della vita si fanno dei bilanci. Non c’è stato alcun contrasto. C’è solo la necessità di rallentare i ritmi. Non sono un tipo che si risparmia: ho sempre lavorato dalle 8 fino anche alle 22. Visto che personalmente fatico a rallentare rispetto a questi ritmi, è arrivato il momento di aprire un altro capitolo».

Che reparto si appresta a lasciare?

«Sono orgoglioso del percorso fatto. Ho sempre lavorato con un bel gruppo. Il compito di un primario è anche quello di farlo crescere. E posso dire di essere sereno perché mi appresto a lasciare un reparto solido, pronto a proseguire il percorso avviato assieme».

Ha pesato anche la carenza di personale?

«Per fortuna qui non abbiamo mai avuto particolari problemi di carenza di medici. In alti ambiti ci sono delle difficoltà, ma abbiamo sempre lavorato con la direzione per cercare di risolverle. È un percorso in fieri. Il recente trasloco nella cittadella sanitaria non è stato semplice. Ma sono contento di quanto fatto. La decisione di lasciare è stata sofferta. Sarebbe stato più facile andarsene da un posto dove non ci si trova bene. Invece non è così. Non bisogna mai dimenticare che il fine ultimo non siamo noi, come addetti ai lavori, ma i pazienti».

Lo stress è inevitabile nella sanità pubblica? Il privato è diverso sotto questo aspetto?

«Non è questione di pubblico o privato. Dipende da come lo si affronta. Io sono nato e cresciuto nel pubblico e ho sempre creduto nella sanità pubblica. Se avessi voluto andare nel privato per altre ragioni, lo avrei fatto già 15 anni fa, quando avevano iniziato a propormi ruoli importanti e ben remunerati in altri ospedali. Non è questo il punto».

Ha guidato per oltre un decennio un reparto che conta più di 2.400 parti all’anno. Più gli interventi ginecologici.

«Il reparto è molto grande, sì. E nel tempo abbiamo affrontato tanti interventi oncologici importanti. Su questo c’è da dire che il vissuto delle pazienti te lo porti sempre un po’ a casa. E anche questo alla lunga può incidere».

Ha mai calcolato quanti bambini ha fatto nascere?

«Migliaia. Poi ho perso il conto. Questo lavoro ti consente di vedere il ciclo della vita. L’ho capito in particolare quando ho iniziato a seguire gravidanze di donne che io stesso avevo fatto nascere».

Si è emozionato per tutti i messaggi di vicinanza?

«Moltissimo»

Nei prossimi mesi si dedicherà ad altro?

«Concorderemo l’uscita assieme alla direzione.

Poi non resterò completamente fermo, ma di certo rallenterò, ponendo anche altre priorità rispetto a quanto fatto fino ad oggi».

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