«Prima di lasciare mia moglie non riuscivo a chiudere occhio, passavo le notti a cercare su Google “come arrivare a fine mese dopo una separazione?”. Ho avuto paura di dormire in macchina». Matteo, 35 anni, operaio metalmeccanico, ha sfiorato il rischio di ritrovarsi senza un tetto. Oggi vive in una cohousing del Comune di Padova: una struttura che offre ospitalità temporanea grazie all'associazione "padri separati", provando ad arginare il disagio crescente di chi si ritrova solo dopo un divorzio.
Padri separati, se il reddito diminuisce va ridotto l’assegno ai figli: la sentenza della Cassazione
Come è arrivato a vivere qui, in una casa condivisa per padri separati?
«Ho vissuto in Lombardia fino al 2016, poi mi sono trasferito a Padova per amore. Sposato nel 2020, separato quattro anni dopo. Ho chiesto la separazione per proteggere me e mio figlio: troppi problemi, incomprensioni, abuso di alcol da parte di lei. Ho coinvolto i servizi sociali, ma alla fine mi sono ritrovato senza casa, con il mutuo sulle spalle e senza possibilità di permettermi un affitto. Ho avuto paura di finire in macchina. Gli assistenti sociali mi hanno indirizzato qui: una soluzione provvisoria, con stanze private e spazi comuni».
Sapeva che sarebbe stato tutto così difficile?
«Sì e no. Mi aspettavo complicazioni, ma non pensavo che a un padre sarebbe bastato poco per scivolare nel baratro. Avevo prove, registrazioni, ma i tempi della giustizia sono lenti. Sono stato ascoltato troppo tardi. Nonostante tutto pago metà mutuo, assegni familiari, le spese del bimbo a metà con la madre. È una lotta continua: vivo con l’essenziale».
Con uno stipendio da operaio come riesce a far quadrare i conti?
«È difficile. Guadagno 1.700 euro. Durante la separazione 1400. Ma tra 400 di mutuo, 220 di assegno a lei e le spese fisse della macchina arrivo a fine mese con poco più di 300 euro. Affittare casa è impossibile, ho provato ma nessuno mi dava fiducia senza garanzie. La cohousing mi ha permesso di respirare, di avere un tetto, ma è una soluzione temporanea».
Ha paura del futuro?
«Sì. La mia vita oggi è provvisoria. Vivo sapendo che dovrò trovare una soluzione definitiva, ma senza possibilità concrete. Ho pensato anche di tornare a Milano da amici, ma avrei dovuto lasciare mio figlio qui e questo per me non esiste».
Come vive oggi il rapporto con suo figlio?
«Lo vedo il mercoledì e nei weekend. Sognavo l’affido esclusivo, vivere con lui, nella nostra casa. Non è stato possibile, ma lotterò sempre per esserci. Gli assegni servono, ma devono essere proporzionati. Non puoi togliere a un padre la possibilità di vivere dignitosamente».
Cosa ne pensa della sentenza della Cassazione che prevede la riduzione dell’assegno in caso di difficoltà economiche?
«È giusta. I giudici devono guardare alla realtà, non alla teoria. Nessun padre rifiuta di mantenere un figlio, ma non può essere condannato alla povertà perenne. Con uno stipendio da operaio, 600 euro al mese sono insostenibili. La mia battaglia è anche per chi non ha nemmeno un posto dove stare».