Apple, Google e Nvidia: dazi e BigTech, il punto debole che fa tentennare gli Usa

Ora la fronda interna dei tecno capitalisti apre spazio ai negoziati

martedì 15 aprile 2025 di Andrea Bassi
Apple, Google e Nvidia: dazi e BigTech, il punto debole che fa tentennare gli Usa

ROMA - Si potrebbe dire che Donald Trump ha dato un morso alla mela sbagliata. I dazi sui telefoni Apple made in China, se riproposti, rischiano di fare un danno mortale a quello che è probabilmente il miglior prodotto, sicuramente quello di maggior successo, americano: l'Iphone.

Basta leggere i dati dell'ultima trimestrale di Apple. La società fondata da Steve Jobs vende più di 612mila "melafonini" al giorno in tutto il mondo, oltre 220 milioni di pezzi l'anno. Chiunque tira fuori un telefonino dalla tasca, una volta su cinque è un IPhone. È un emblema dei prodotti globali. Questo gioiello dell'industria americana viene prodotto a Zhengzhou, una città di sei milioni di abitanti, a metà strada tra Pechino e Shanghai.

Gli abitanti del posto la chiamano Iphone City, perché negli stabilimenti Foxconn dove vengono assemblati, lavorano centinaia di migliaia di abitanti della città. Riportare questa produzione in America è oggi difficile da immaginare. E non solo per i costi, ma perché manca il personale specializzato necessario. Il reshoring dell'Iphone, se mai fosse possibile, richiederebbe comunque anni. Bloccare la catena cinese di produzione degli Iphone con i maxi dazi, avrebbe conseguenze su un'altra BigTech americana: Google. Su ogni Iphone che viene prodotto, viene installato il browser Chrome. Google, per questo privilegio, retrocede a Apple il 30 per cento del fatturato pubblicitario raccolto. Se soffre Google soffre anche Nvidia, che fornisce i chip per i data center necessari all'Intelligenza artificiale. Nella politica dei dazi inaugurata da Trump è sempre più evidente quello che si potrebbe definire il fattore "BigTech". Non si tratta solo di Apple e Google, ma anche di Amazon, Meta, le società di streaming come Netflix e la stessa X di Elon Musk. Si tratta di società per definizione globali, il cui successo è messo a rischio dalle politiche protezionistiche. I tecno capitalisti, da Marz Zuckerberg, a Jeff Bezos, stanno facendo da contrappeso nei confronti dell'amministrazione Trump alla frangia più estrema dei consiglieri "Maga", Make America Great Again, capitanata dal consulente commerciale Peter Navarro. Non a caso quest'ultimo ha avuto un duro scontro proprio con Musk, definito un "assemblatore di auto" (la replica è stata ancora più dura: «È più stupido di un sacco di mattoni»).
Questa opposizione interna è un tallone di Achille della strategia dei dazi di Trump. Qualcuno, a partire dal governo italiano, lo ha probabilmente capito. Anche Ursula von der Leyen ha provato a insinuarsi nel solco. La prima mossa è stata quella del "wait and see". Non reagire subito colpo su colpo alle tariffe americane, come hanno fatto per esempio i cinesi, ma prendere tempo, quel "calma e gesso" predicato sia da Giorgia Meloni che dal ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti. Una strategia che per adesso sta pagando, e ha permesso di non alimentare una escalation immediata. Trump ha sospeso per novanta giorni i dazi ed esentato da quelli imposti alla Cina gli Iphone. La seconda gamba di questa strategia prevede comunque di negoziare con una pistola carica sul tavolo, un "bazooka", per stare alla definizione usata dalla Presidente della Commissione europea. Si tratta dello strumento anti-coercizione, che permetterebbe all'Europa di tassare i dati estratti dalle grandi imprese del web dai cittadini del Vecchio Continente. Una misura in grado di mettere in discussione il modello di business di molte delle BigTech americane. Tra i due estremi, quello dei dazi americani sui prodotti europei e, dall'altro lato, quello delle tasse sulle web company americane, si aprono gli spazi per il negoziato.

I PASSAGGI

Ma su quali punti? Le lamentele americane nei confronti degli europei sono contenute nel lungo rapporto sventolato da Trump durante il 2 aprile, durante il giorno della "liberazione".Si può notare come alcune delle lagnanze siano comuni a quelle di un buon numero di imprese europee. La presenza di ventisette amministrazioni che interpretano in modo diverso le regole comuni, il peso e i tempi lunghi della burocrazia, le regole green che il sistema produttivo è chiamato a rispettare. Oltre a contestazioni specifiche come le web tax nazionali, la regolamentazione dell'Intelligenza artificiale o quella della privacy che frenano, nemmeno a dirlo, proprio le grandi aziende tecnologiche americane. Alcune delle questioni, è bene ribadirlo, non riguardano solo le imprese americane, ma anche quelle europee. Il Fondo monetario internazionale ha stimato che burocrazia e complessità nel mercato interno equivalgono a dazi del 45 per cento per le stesse imprese continentali.Eliminare questi dazi interni non sarebbe un favore fatto solo a Trump.

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