TREVISO - «Ho fiducia nei magistrati: sono sicuro che verrà dimostrata la mia totale estraneità alle accuse». Michele Stiz è sicuro di uscire pulito dall’inchiesta per la bancarotta fraudolenta di Veneto Banca.
IL MECCANISMO
Trenta maxi operazioni, tra erogazioni di credito e indennizzi per eventuali deprezzamenti delle azioni: così gli indagati avrebbero svuotato le casse dell’ex popolare, dichiarata insolvente nel 2018: 320 milioni di euro dissipati. È quanto emerge dalle carte dell’inchiesta. Il meccanismo ricostruito dagli inquirenti si snoda su un doppio binario. Da un lato ci sono i finanziamenti milionari erogati senza garanzie a “sodali”, nonostante i rischi di insolvenza. Dall’altro gli «indennizzi ingiustificati» riconosciuti a clienti e azionisti danarosi per il deprezzamento delle azioni. Operazioni, queste ultime, camuffate dietro tecnicismi del lessico bancario come «storno commissionale», «rimborso contabile o per spese e competenze» e «sbilancio competenze per riliquidazione». Nella lunga lista c’è anche il salumificio Beretta. In alcuni casi il denaro sarebbe servito a coprire posizioni debitorie nei confronti della stessa Veneto Banca che però avrebbe ricevuto in cambio la sottoscrizione di azioni. Come nel caso dell’operazione finalizzata all’acquisto delle azioni della Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupramontana detenute dalla Cattolica Assicurazioni. La società si sarebbe impegnata a sottoscrivere l’aumento di capitale di Veneto Banca per un importo massimo di 10 milioni di euro. Peccato che nei vari passaggi l’ex popolare ci avrebbe rimesso, alla fine, più di 54 milioni. Tra i finanziamenti temerari c’è quello della Vimet, ex colosso dell’oreficeria fallito nel 2017, foraggiata con 54 milioni di euro nonostante la previsione di perdita superasse il 92%. Il prestito sarebbe servito a estinguere i debiti contratti con la banca popolare di Vicenza, dissimulando la reale insolvenza della società. Eppure i finanziamenti sono stati elargiti ugualmente. Ci sono poi i prestiti alla società veneziana Proven srl «destinati a speculazioni immobiliari» su palazzi storici del capoluogo lagunare, tra cui palazzo Gritti, palazzo ex Inail, palazzo Buttaro e Friedemberg. A detta della Procura le società presentavano garanzie - prevalentemente immobiliari, ma anche fidejussioni - il cui valore veniva però gonfiato dalla banca.
SOTTO INCHIESTA
Nel registro degli indagati, oltre a Consoli, Trinca e Stiz figurano anche Francesco Favotto, presidente del cda; Mosè Fagiani, condirettore di Veneto Banca; Romeo Feltrin, vicepresidente del comitato crediti; Daniele Scavaortz e Roberto Mescalchin membri dello stesso comitato; l’avvocato Pierluigi Ronzani (per una parcella legata a un’operazione inesistente); Mauro Angeli, amministratore unico della Vimet; Attilio Carlesso, consigliere di amministrazione di Veneto Banca dal 2008 al 2014 e presidente del collegio sindacale della Vimet; e Michele Barbisan, responsabile direzione territoriale della ex popolare.