ESTE (PADOVA) - Mancano due giorni ai trent'anni esatti da quel 6 agosto 1995, quando tre alpinisti veneti hanno perso la vita sul Sassolungo, in Val Gardena. Una tragedia che ha sconvolto le comunità di Monselice, Este e Cologna Veneta (Verona), unite nel dolore per la perdita di Daniele Vallarin, Alberto Zerbetto (in foto) e Maurizio Dal Lago, tre amici accomunati da una passione divorante per la montagna.
La tragedia
Quel 6 agosto era una domenica pomeriggio, poco dopo le 17. I tre, esperti rocciatori del Cai di Este e del Club Quota 8 metri di Monselice, stavano completando l'ascesa del “Salame”, una parete impegnativa che presenta difficoltà di quinto grado superiore, con passaggi anche di sesto. La giornata aveva presentato criticità meteo: in prossimità delle cime c'erano addensamenti cumuliformi che avevano provocato un violento temporale. La comitiva stava raggiungendo la vetta a quota 2.550 metri ed era in procinto di prepararsi alla discesa. Proprio in quel momento un fulmine si è abbattuto vicino a loro: lo spostamento d'aria e il grande spavento hanno provocato la tragedia. Gli alpinisti, ormai liberi dalle corde, sono stati scaraventati giù dalla vetta, precipitando nel vuoto per circa 400 metri. L'allarme era stato lanciato da un volontario del Soccorso alpino che aveva notato il fulmine. Un elicottero si era alzato in volo, mentre sul posto convergevano i carabinieri di Selva di Val Gardena e di Ortisei. Ma per i tre amici non c'era più nulla da fare. I corpi, resi irriconoscibili dalla terribile caduta, sono stati identificati solo in serata grazie ad alcuni bigliettini con indirizzi padovani trovati addosso a uno di loro, alle testimonianze di un uomo del luogo, che li aveva seguiti con il binocolo e di due alpinisti pusteresi che li avevano incrociati durante l'ascesa.
Le vittime
Daniele Vallarin aveva 39 anni. Agente di commercio per la ditta di caffè Hausbrandt, viveva a Monselice in via Savellon Molini con la moglie Michela Baratella, insegnante, e i due figli Angela e Alberto, di 9 e 4 anni. La montagna per lui era tutto: meticoloso e preciso in ogni sua attività, era considerato da tutti uno scalatore esperto che non avrebbe mai azzardato una salita avventata. Persona disponibile e riflessiva, aveva collaborato con associazioni locali e dato vita ad un’esibizione di free climbing sulla parete della torre civica di piazza Mazzini. Alberto Zerbetto, 34 anni, era titolare di un negozio di alimentari all'angolo tra la piazza e la provinciale per Este a Vo' Euganeo. Un amore per la montagna che durava da oltre vent'anni, condiviso quando possibile con la moglie Stefania Albini e la figlia Clara, di 7 anni. Stimato dalla comunità per la sua natura cordiale e generosa, dopo le dodici ore dedicate all'attività lavorativa trovava ancora il tempo per impegnarsi nel sociale, dall'adozione a distanza di due bambini bosniaci alla raccolta di fondi e generi alimentari per le popolazioni dell’ex Jugoslavia martoriate dalla guerra. Maurizio Dal Lago veniva da Cologna Veneta, in provincia di Verona. Come i due amici padovani, aveva fatto delle Dolomiti la sua seconda casa, condividendo con loro innumerevoli ascese e quella passione totalizzante per la roccia. I corpi dei tre alpinisti, dopo il trasporto nella cappella mortuaria della parrocchia di Selva, avevano fatto ritorno nei rispettivi paesi solo dopo alcuni giorni. Le tre comunità si erano strette nel dolore per uomini che avevano trovato la morte su quelle montagne che tanto amavano, traditi da una passione che avevano coltivato insieme parete dopo parete.