Verranno sentiti uno a uno i componenti della troupe di “Parthenope” per cercare di far luce sul giallo della morte del costumista napoletano Luca Canfora.
L’ipotesi iniziale è che si fosse trattato di un suicidio, con la stessa modalità e nella stessa location di uno dei protagonisti: il fratello di Parthenope. Ma delle 40-50 persone della troupe, nessuno ha visto Canfora gettarsi dalle terrazze fiorite affacciate da un lato sui Faraglioni, dall'altro sulla Baia di Marina Piccola e i tornanti di via Krupp. I poliziotti del commissariato di Capri avevano sentito a sommarie informazioni solo 4 o 5 dei tecnici presenti sul set, per questo adesso gli investigatori della Squadra mobile di Napoli ne convocheranno molti altri. Di certo c’è che la telecamera all’ingresso dei giardini di Augusto (in quel momento chiusi al pubblico, proprio per consentire le riprese) inquadrano il costumista entrare e non uscire di lì. Il guardiano aveva dichiarato che gli altri due cancelli erano chiusi. Non ci si spiega inoltre come mai nessuno si sia accorto di un uomo alto un metro e 90 che precipitava giù dal costone di roccia tra le decine di diportisti che in piena estate affollano quello specchio di mare e le centinaia di turisti che percorrono come in un formicaio i tornanti di Via Krupp.
Le incompatibilità
Un volo di 130 metri - secondo la famiglia della vittima - non è compatibile con le lesioni riscontrate sul corpo in sede di esame autoptico. «Se Luca fosse caduto da quel punto, avrebbe impattato con gli scogli aguzzi prima di finire in acqua e si sarebbe sfracellato. Invece non ha fratture - ha specificato suo fratello, Giuseppe Canfora - Abbiamo fatto il funerale con la bara aperta, a dimostrazione che il cadavere era in buone condizioni. Quando è finito in mare già morto». Effettivamente non gli è stata trovata acqua nei polmoni a sufficienza per parlare di annegamento.
Secondo la perizia del medico legale incaricato dai pm, Canfora è deceduto per le contusioni al torace e alla testa, compatibili con l’impatto con diverse superfici. Se gli inquirenti dovessero decidere di riesumare il cadavere del costumista, si potrebbero fare altri esami sui tessuti per capire se ci sono frammenti di scogli. L’altro punto fermo, è che non ci sono segni di lesioni provocate da terzi, nemmeno come tentativo di resistenza a un’eventuale aggressione. Quindi - secondo gli inquirenti - le ipotesi è che si sia ucciso, che sia caduto accidentalmente o che sia stato spinto giù. «In quello stesso punto ci sono stati eventi suicidari in cui i corpi sono stati ritrovati decomposti - spiega l’avvocato Giuseppe Rossodivita, il legale che assiste la famiglia Canfora - E dalle nostre indagini difensive, consegnate in una memoria alla Procura, emerge che non è possibile finire in mare, nemmeno se un centometrista prendesse la rincorsa per lanciarsi giù. Abbiamo chiesto ai pm di analizzare, con tutte le nuove tecnologie a disposizione della polizia scientifica, le immagini delle telecamere pubbliche acquisite».
Il cellulare del 51enne non è mai stato ritrovato, così come il suo portafogli e i suoi documenti. Agganciava la cella di Capri, prima di spegnersi. «Ha continuato a squillare fino a mezzogiorno del giorno dopo - ha precisato suo fratello - Se fosse finito in acqua con lui si sarebbe spento. Se invece fosse caduto tra gli scogli, non si spiega come mai il corpo non sia stato trovato lì. Delle due l’una. Luca non conosceva Capri, non ci era mai stato prima. Era arrivato il 31 agosto proprio per le riprese. Mi disse: “Sono impegnato con la troupe, ci sentiamo più tardi”. E non l’ho più risentito». Giuseppe Canfora oggi verrà interrogato dalla Squadra mobile. Potrebbe rivelare di testimoni che hanno visto suo fratello uscire dai giardini di Augusto o di un possibile movente in un’eventuale ipotesi di omicidio. Anche l’Arcigay di Napoli aveva chiesto di far luce sulla sua morte. «Luca non aveva un compagno, né ci aveva mai parlato di litigi o malesseri gravi - ha aggiunto il fratello - Dopo 18 mesi non abbiamo nulla di chiaro, tranne l’aver escluso totalmente il suicidio». Dai tabulati telefonici, è emerso che si sentiva spesso con una delle sue sorelle (l’ultima ad averlo chiamato).
La strana analogia
Resta la strana analogia che uno dei protagonisti del film si tolga la vita lanciandosi proprio da quelle terrazze: una scena girata, guarda caso, nelle ore precedenti la morte di Canfora. Il costumista potrebbe essersi identificato nella storia di Raimondo, fratello di Parthenope, lasciandosi ispirare dalla sceneggiatura. «Mi sembra un’ipotesi piuttosto azzardata fatta da qualcuno della troupe. È morto su una produzione importante, in un’isola con un immagine da proteggere. Ci sono stati molti ostacoli e reticenze in questi mesi - ha concluso Giuseppe Canfora - Ci saremmo aspettati più partecipazione nelle indagini da parte dei suoi colleghi. Anche se al funerale c’erano tutti, compreso Paolo Sorrentino, che non ha proferito parola. Ma il suo film non l’ho voluto vedere».