«L'Intelligenza Artificiale non dovrebbe spaventare se si mantiene fissa la barra sull'umanesimo».
Eminenza avrà però visto che Geoffrey Hinton, definito il padrino dell'Intelligenza Artificiale, ha lasciato Google per denunciare i rischi che si corrono visto che l'AI presto potrebbe superare le informazioni di un cervello umano. Lei cosa ne pensa?
«Ho letto anche io questa notizia. L'unica cosa che vedo preoccupante, osservando dall'esterno un settore di cui sono interessato da anni, è l'algoritmo aperto che, come sappiamo, è pensato per avanzare opzioni (che l'uomo stesso gli ha dato) ma che non potranno mai tenere in considerazione quelle scelte fatte in coscienza. Mi viene in mente quel film recente in cui affiorava tutta la capacità dell'AI di colpire questo o quel bersaglio per neutralizzare dei terroristi, fino a quando in una tenda situata in mezzo al deserto in cui dentro c'era un terrorista, si avvicina per caso una bambina che si avvicinava per vendere delle verdure. Non mi ricordo che cosa faceva la macchina. L'uomo però davanti ad una opzione del genere ci pensa sempre. Ed è questo il punto».
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Hinton però ci sta dicendo che le Colonne d'Ercole forse si sono spostate...
«Effettivamente si sono spostate ma attenzione che le Colonne ci sono ancora. Il sussulto della coscienza umana è molto diverso e non potremmo mai crearlo».
Chissà se si dovrà fermare la scienza o, perlomeno, trovare degli argini per frenarla...
«La scienza va avanti e segue un suo percorso, su un proprio piano per sviluppare tecnologia. Sull'altro piano parallelo, invece, dovrebbe andare avanti la cultura, l'umanesimo. E per cultura io includo tutto: la filosofia, la teologia, l'arte e in genere quello che fa riflettere sul perché dell'uomo, sul suo senso ultimo, sull'universo, sulle relazioni. La scienza dovrebbe ascoltare la cultura ma nello stesso tempo la cultura dovrebbe interessarsi alla scienza, in modo vicendevole, armonico, costruttivo. Che è anche il grande argomento del rapporto teologico tra fides et ratio: la teologia non può imporsi mai come ai tempi di Galileo e stabilire le sue tesi. Sarebbe un anacronismo. Tuttavia queste direttrici restano parallele ma non indipendenti. Prendiamo il caso di Oppenheimer».
Allude al padre della bomba atomica che lavorò sul nucleare ma poi sprofondò in una disperazione totale per le notizie che arrivavano dal Giappone?
«Fu uno scienziato che andò oltre la scienza e che ad un certo punto ascoltò anche la voce della teologia e della morale. La sua voce interiore. Da un punto di vista tecnico sapeva tutto, ma poi si fermò a riflettere su altri aspetti. Ma, in linea di principio, non si può fermare la scienza».
Lei ha paura dei rischi legati alle possibili evoluzioni negative dell'Intelligenza Artificiale?
«Personalmente no, nel senso che sono fiducioso e ottimista sul fatto che l'umanità avrà sempre il sopravvento e che attraverso la cultura l'umanità sarà sempre in grado di riflettere. La parte scientifica e la parte umanistica non devono mai smettere di dialogare e rapportarsi. Lo scienziato e il filosofo per esempio. Si possono creare macchine sempre più evolute ma anche in questo caso gli uomini creatori di questi strumenti sofisticati, gli scienziati appunto, devono sapersi fermare e affidare alla coscienza umana altre traiettorie. Altrimenti finisce che la macchina va avanti e l'uomo perde la propria consapevolezza. Nonostante questi rischi bisogna avere fiducia nella grande capacità dell'umanesimo. La fiducia c'è alla base. Mi viene in mente quella frase di Pascal che dice che l'uomo supera infinitamente l'uomo, perché è un essere che si leva al di sopra di se stesso».
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E' vero che lei non usa il computer?
«Non è che non lo uso è che scrivo ancora con la penna e l'ingresso in questo mondo è molto a margine. Il settore della digitalizzazione e della informatizzazione mi ricorda la formula di Cartesio, Cogito ergo sum, che poi è alla base della nostra modernità. Ormai si può dire: digito ergo sum, praticamente un mutamento d'epoca».