«A molti finora è capitato di avere esperienze con i robot umanoidi e, a parte l’iniziale stupore, pochi ne conserviamo particolare memoria.
Noi abbiamo invertito il processo: abbiamo scelto un contesto affascinante quale quello della scuola, abbiamo chiesto a docenti e studenti cosa avrebbero voluto che un robot, posto in classe, facesse e lo abbiamo realizzato», dice Salvatore Rionero, Amministratore delegato di Protom da cui è partito l’intero progetto.
Siete partiti a ritroso, e sulla scorta di indicazioni raccolte sul campo: cosa vi aspettate dalla sperimentazione?
«Che nascano nuove idee in grado di essere implementate e di contribuire a migliorare le classi in cui la convivenza con l’Intelligenza Artificiale è prevista.
I ragazzi sono nati digitali, i docenti no…
«Siamo a uno spartiacque. L’approccio è forzatamente diverso e serve dunque un nuovo equilibrio, nella consapevolezza che la platea dei docenti è molto vasta e non tutti probabilmente si lasceranno coinvolgere almeno all’inizio».
Anche Scienze sociali e tecnologia più avanzata sembravano inconciliabili tra di loro.
«È vero. Noi siamo partiti dal fatto che la tecnologia oggi è una commodity, come l’acqua o la corrente elettrica. La sfida è l’interazione, capire cioè come un ecosistema sociale possa interagire con le macchine». Perché l’Italia e non gli Usa o la Cina per primi su questa sperimentazione, secondo lei? «Perché prevale l’aspetto culturale che noi italiani abbiamo nel nostro Dna».
Perché l’Italia e non gli Usa o la Cina per primi su questa sperimentazione, secondo lei?
«Perché prevale l’aspetto culturale che noi italiani abbiamo nel nostro Dna. Noi ci siamo concentrati su che cosa deve fare un robot e partire dalle scuole era una scelta pressoché obbligata. Ciò che rende particolarmente emozionate questa nuova sfida è la convinzione che il suo successo avrà un impatto “disruptive” sul futuro dell’educazione scolastica».