VENEZIA - Sembra quasi di vederla ancora la gente che affollava il campo e le calli intorno alla chiesa di San Giacomo dall’Orio a Venezia nel cuore del sestiere di Santa Croce, quando ogni locale a piano terra era un negozietto.
Di quella realtà non sembra purtroppo essere sopravvissuto molto. Al posto dei piccoli negozi di vicinato hanno aperto negli ultimi anni 2 supermercati, bar e ristoranti, al posto delle case dei veneziani alberghi e b&b per turisti. In qualche caso le saracinesche si sono abbassate per non aprire più, colpite dal calo inesorabile dei residenti e dall'aumento vertiginoso degli affitti. In una mattina di pioggia, giriamo per il sestiere insieme a Maria Luisa Lazzarini, classe ‘48, nata e vissuta a San Giacomo, che racconta come già sul finire degli anni ’80 si avvertiva che qualcosa stesse succedendo, ma il vero cambiamento è stato repentino ed è iniziato sul finire degli anni ’90 e continua ancora oggi. «Quella di cui racconto – dice – è una città e un modo di vivere che non esiste più. Nel giro di poche centinaia di metri si poteva trovare tutto quello di cui avevi bisogno, solo in campo c’erano 2 fruttivendoli un bechér, il macellaio, e tre biavaròl, negozietti di generi alimentari dove si poteva trovare ogni cosa. Per il latte si andava in latteria, ce n’era una in Calle del Tentor e un’altra dall’altro lato del campo verso il Ponte del Megio. Se non potevi uscire bastava calare giù il cestino dalla finestra e Bartoloni mandava di sopra la spesa. Adesso ci sono i supermercati, comodi certo, ma si è perso il rapporto umano con le persone. Ciascuno di questi negozianti era anche un amico, uno di famiglia, oggi fuori di casa ci si sente soli».
Continuiamo il giro e l’elenco dei negozi che non ci sono più si fa sempre più lungo, fino a quando arriviamo davanti alla bottega di Giovanni Maccanin in calle larga che aspetta dietro al suo banco di frutta e verdura, ultimo baluardo di una Venezia che non c’è più. «Ho rilevato questa attività quasi 5 anni fa e a distanza di tempo lo rifarei senza dubbio – racconta – Le difficoltà di portare avanti un fruttivendolo a Venezia non sono poche, la merce vado a prenderla all’alba al mercato generale di Mestre, carico la barca e arrivo fin qui, con costi e difficoltà non da poco, ma la soddisfazione arriva quando i clienti mi ringraziano e mi scordo la fatica. Sono orgoglioso di portare avanti questo mestiere a Venezia». Lui è l’unico frutariòl rimasto in zona, per trovare un altro banco come il suo bisogna arrivare in Campo Santa Margherita, al mercato di Rialto oppure attraversare il canale e raggiungere Cannaregio. Anche di panifici, tra San Stae e Campo della Lana, ce n’erano almeno una decina, oggi ne sono rimasti solo un paio: uno è il panificio e pasticceria Trevisan, che dal 1985 ha aperto in Corte Canal. Prima era a San Giovanni Evangelista, vicino a un macellaio e a una piccola rivendita di alimentari.
«Quando siamo arrivati qui era pieno di negozi, oggi siamo rimasti soli – racconta Irma Trevisan che insieme a sua sorella Luciana porta avanti l’attività di famiglia – Resistere per noi vuol dire contribuire a mantenere viva la città che amiamo e la forza di restare ci viene dai nostri clienti che non mancano occasione per ricordarci quanto siamo importanti per loro. Vivere a Venezia negli ultimi 20 anni è diventato difficile: per qualsiasi cosa sei costretto a spostarti in terraferma, una volta bastava uscire di casa. Così tanti scelgono di lasciare la città». In calle larga dei Bari è Vanna Brussato, titolare della tabaccheria, a raccontare com’è cambiata la calle negli ultimi 20 anni: «Ho aperto la mia attività nel 2003 e da allora la realtà intorno al mio negozio è molto cambiata – racconta – qui in calle c’era una bottega di generi alimentari, il classico biavaròl, ma ha chiuso e al suo posto ha aperto un bar. Prima ancora c’era una macelleria e il pescivendolo. Pian piano hanno chiuso tutti, qualcuno non è sopravvissuto all’aumento degli affitti, qualcun altro è andato in pensione e non ha trovato chi potesse sostituirlo. Così la calle ha cambiato faccia». In Rio Marin è la signora Franca S. a raccontarci com’era solo fino a una quindicina d’anni fa: «Dove oggi c’è il supermercato, ai piedi del ponte dei Garzoti, c’era una macelleria e un fruttivendolo, ma per le altre cose bastava arrivare in fondo alla fondamenta dove c’era il biavaròl, oggi è un’osteria».